Maneggiano fucili, affollano i corsi di difesa, si ritrovano nei weekend per sparare. Le appassionate di armi aumentano sempre di più. Non solo: scalano posizioni manageriali nelle aziende del settore. A spingerle, la competizione. E la paura di aggressioni
Personalizzano il fucile sportivo con stickers colorati, si confrontano con calibri e tecniche antiaggressione. Sono le donne che in Italia maneggiano a pieno titolo un’arma da fuoco. Per sport, hobby e difesa personale, oltre che per lavoro (forze dell’ordine e guardie giurate). Una presenza femminile in aumento, stando alle iscrizioni ai poligoni di tiro e ai corsi di autodifesa. Se negli Stati Uniti il 22% delle donne possiede un’arma (secondo l’indagine 2017 della società di ricerca americana Pew), nel nostro Paese è complicato stabilire le cifre. Il ministero dell’Interno non suddivide in base al sesso il dato di chi detiene la licenza, circa 1.300.000 persone. L’unico numero certo, 8.500 donne “armate”, è il totale fornito per il 2017 dall’Uits, Unione tiro a segno (l’ente che ha il compito di rilasciare il certificato maneggio armi su territorio nazionale) insieme alla Fitav, Federazione italiana tiro a volo. Una stima comunque in difetto «perché» spiega Luca Stefanini, responsabile Uits «una volta ottenuto il certificato maneggio armi, non è necessario mantenere l’iscrizione da noi nei 6 anni in cui invece rimane valido il porto d’armi a uso sportivo (la licenza più facile da ottenere, ndr)».
Cercano sicurezza e sfidano i loro limiti
Come si può spiegare il crescente interesse delle donne per le pistole? «In parte è dettato dal senso di vulnerabilità e dalla paura di muoversi e di vivere in contesti pericolosi o rappresentati come minacciosi dalla cronache» spiega Angelo de’ Micheli, psicologo e criminologo. «In parte le donne che decidono di maneggiare fucili e pistole hanno l’illusione di conquistare più potere, spazio e visibilità in un campo tradizionalmente maschile». Nicoletta Nicola, 54 anni, è la fondatrice dell’associazione “Donna e Armi” aperta un anno fa a Visco, in provincia di Udine, con un centinaio d’iscritte in rapida crescita. Siamo nel Nordest, una zona d’Italia dove non è raro incontrare imprenditori e privati cittadini che si dicono pronti a farsi giustizia da sé. «Le donne vanno al poligono perché hanno voglia di mettersi alla prova, di centrare i propri obiettivi al tiro a segno come nella vita» spiega Nicoletta.
«Quando conobbi mio marito, un esperto balistico, come molte persone non conoscevo e temevo le pistole. Poi, 11 anni fa, decisi di affiancarlo nella gestione di un’armeria e mi accorsi che mentre gli uomini si intrattenevano in negozio per consigli e consulenze, le mogli ferme in auto aspettavano imbronciate. È nata così l’idea di un’associazione di donne per le donne in cui fare educazione, prevenzione e, non ultima, difesa personale». Nicoletta di recente è stata chiamata a parlare alla squadra femminile di pallavolo di Cervignano del Friuli come istruttrice qualificata all’utilizzo dello spray al peperoncino, tecnica di difesa meno violenta che le donne preferiscono alle armi da fuoco: «Non tutte sanno, per esempio, che è sconsigliato spruzzare la bomboletta in un ambiente chiuso, a meno di non avere una via di fuga: si deve evitare l’effetto boomerang. Le ragazze, dai 15 ai 18 anni, sono le più curiose e fanno tantissime domande. Lo scopo dell’associazione è proprio raccontare tramite conferenze e incontri con istruttori di tiro come comportarsi davanti a un’aggressione. Per assurdo insegniamo quando è meglio non sparare».
Sono un nuovo mercato per i produttori
Dove c’è una pistola, però, è assai probabile che questa sparerà: lo sostiene Carmelo Abbate, giornalista e coautore con Pietrangelo Buttafuoco del saggio Armatevi e morite (Sperling & Kupfer). La tesi? «Il compito della sicurezza spetta allo Stato. Se ciò non avviene, si lascia la possibilità al privato cittadino di farsi giustizia da solo. Ma quella che sembra la soluzione più facile è anche la più pericolosa. Come conferma una ricerca in cui il tasso di omicidi è messo in relazione con la diffusione di pistole Paese per Paese. Negli Stati Uniti ci sono 88,8 armi su 100 abitanti, in Giappone 0,6: i morti americani da proiettili in un anno sono 12.000, quelli nipponici 11». In Italia, comprare un’arma è anche relativamente semplice se si è in possesso della licenza: lo ammette Silvia Fracassi, 48 anni, amministratore delegato di Arsenal Firearms, azienda bresciana che produce pistole “famose” comparse in film come 007-Spectre e Resident Evil.
«Se però non sai usarla, l’arma puoi diventare un pericolo per te e per gli altri. Per questo motivo organizziamo corsi teorici e pratici in cui i non addetti ai lavori possono imparare a fronteggiare lo stress da aggressione muovendosi con una pistola in pugno». Come raccontato in maniera fin troppo esplicita nel video aziendale che ha per protagonista una giovane madre di famiglia: segno che in questo mercato le donne sono considerate interlocutrici preferenziali. Non solo come clienti, ma anche come “quote rosa” che ricoprono posizioni manageriali in un numero sempre maggiore di aziende armiere italiane (siamo il secondo Paese produttore al mondo).
Trionfano nelle discipline sportive
Federica Gozza, 37enne di Bologna, ha una laurea in Scienze internazionali e diplomatiche e 10 anni fa è approdata «per caso» all’azienda Baschieri&Pellagri, che produce munizioni per la caccia e il tiro a volo dal 1885: «Nonostante non fosse nei miei progetti, mi sono appassionata a un lavoro che mi porta a viaggiare, cacciare all’aria aperta e calcare campi da tiro a volo in tutto il mondo, sport che in Inghilterra viene insegnato persino nelle scuole. Le donne sono avvantaggiate in questa disciplina grazie alla capacità di concentrazione e precisione. Non a caso, alle scorse Olimpiadi le italiane hanno vinto 5 medaglie. Negli anni, poi, mi sono accorta che esercitarsi con una carabina è anche un’opportunità per dimostrare come l’immagine femminile stia cambiando: in alcuni Paesi arabi non è strano vedere una donna sparare al tiro a volo». Ma maneggiare una pistola per sport è diverso dal portarla in borsa. Per imparare a reagire alle aggressioni – dicono ai corsi di autodifesa “gun free” – non occorre essere Calamity Jane, piuttosto allenare i riflessi, il controllo delle emozioni e la capacità di spiazzare l’aggressore. Con le prime armi di reazione di cui siamo provviste: testa e istinto.
Le testimonianze
«Concentrarsi per tirare è una forma di meditazione» Alessandra Moro, 38 anni, di Padova, campionessa di tiro dinamico sportivo Capelli rosso fuoco, «rigorosamente truccata», durante la settimana Alessandra (nella foto sopra) lavora in un’azienda di trasporti; nel weekend, insieme al fidanzato, va sui campi di tiro ad allenarsi con un’arma che ha riempito di stickers a forma di farfalla. «Sono campionessa di tiro dinamico sportivo, categoria fucile a pompa» dice. «È una passione nata 6 anni fa, quando il mio compagno mi regalò una pistola calibro 22 sapendo che da ragazza frequentavo un poligono di tiro con alcuni amici. In poco tempo sono passata dal tiro statico, un po’ noioso, a quello in cui devo colpire in meno tempo possibile bersagli fissi o in movimento». Alessandra è l’unica donna a gareggiare nel campionato italiano e la prima in quello mondiale nella sua divisione. «Per me impugnare l’arma è un efficace antistress: quando miri sei molto concentrata, è una forma di meditazione, come il tiro con l’arco».
«Ho 3 pistole custodite in un armadietto blindato a casa» Silvia Fracassi, 48 anni, di Brescia, amministratore delegato di Arsenal Firearms Rappresentante d’illuminazione a led fino a 6 anni fa, Silvia ha cominciato a lavorare nell’azienda che produce armi come collaboratrice part-time. «Non conoscevo questo mondo, anche se 25 anni prima mi piaceva tirare al piattello. All’inizio eravamo in 3, ora siamo 8. Ho imparato la differenza tra armi lunghe, corte, percussori…» racconta. «Nel tempo libero vado al poligono con i miei figli di 16 e 20 anni, appassionati come me». In casa Silvia ha 3 pistole regolarmente custodite in un armadietto blindato e può metterle in borsa perché ha un porto d’armi da difesa. «Ma questo non mi fa sentire Wonder Woman: anche io non so come potrei reagire davanti a una minaccia per me o i miei cari».
Scrivi un commento